I due volti di Dioniso: la doppia valenza dell’energia psichica nell’arte
22 Febbraio 2017“Cuore, Passione, Scarnificazione” in Teresa d’Avila
27 Aprile 2017Pubblichiamo il contributo della dottoressa Egle Radogna sulla mostra “Cuore e Vanitas”. Studiosa del pittore e affrescatore Luigi Ademollo, Radogna ha tenuto una conferenza in Galleria Baroni in occasione della mostra L’affresco neoclassico nell’interpretazione creativa di Luigi Ademollo del 2015 e la mostra dedicata ai simboli di amore (cuore) e morte (teschio-vanitas) le ha ispirato un’ipotetica intervista all’artista neoclassico che pubblichiamo con piacere, ringraziandola per il suo apporto culturale.
Poiché la mostra “Cuore e Vanitas” espone un argomento appagante dal punto di vista artistico, ma al contempo assai introspettivo, e con un fil rouge vi unisce un carattere più intimo e privato, questo scritto sarà metaletterario. Cuore e Vanitas formano in primis un dualismo da leggersi sotto un contesto tradizionale e quindi che investe l’icona e l’opera di significati morali, etici, religiosi, filosofico-letterari. In secundis, Cuore e Vanitas sono due elementi ancora oggi assolutamente primari dell’essere umano ed anche manifestatamente in contrasto nella realtà contemporanea. Uno spazio fisico e digitale che ci vuole costantemente pronta icona di noi stessi ma ci lascia riflettere poco sulla nostra precarietà e fluidità esistenziale ed emotiva. Temi di cui ad esempio ha scritto il filosofo e teorico, recentemente scomparso, Zygmunt Bauman (1925 – 2017) tacciando la nostra società come “liquida”. Spazio e comunicazione sono stati la “professione” delle arti maggiori e minori da sempre; passando dall’icona, dalla favola al racconto, al topos letterario. Valori che “l’era della riproducibilità tecnica” descritta da Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936) e contestualizzata negli studi di Ferdinando Bologna (Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia, 1972) ha oggi in parte devoluto al concetto di “brand”. L’immagine si presta oggi a una “esperienza edonistico-consumista”, smacchiando da valenze simboliche delle icone mentali assolute quali ad esempio sono l’amore – cuore / la morte – teschio. Il primo binomio, massimizzatore dell’idea di congiunzione carnale, il secondo che porta il concetto ai minimi termini e potremmo dire “lo riduce all’osso”. Entro la conclusione dell’epoca moderna e della prima epoca contemporanea, Cuore e Vanitas sono state metronomo artistico ed estetico poi. Se oggi le immagini di pulsioni e terrorismi geodiffusi scorrono incessanti in quella dimensione senza soluzione di continuità definita da Bauman “società liquida”, lo fanno tramite un’esperienza percettiva elettronica e virtuale. Lo fanno confondendosi l’una nell’altra, in un trapasso di contenuti mortale per la sensibilità umana, per la sopravvivenza di una qualche forma di pìetas contemporanea. Cito come lettura necessaria a questo tema il profondo saggio di James Hillmann, Un terribile amore per la guerra (2004). Quello che le immagini di oggi ci costringono a guardare è effettivamente un enorme impasto amorfo e policromatico di linguaggi audiovisivi contrastanti: dove il corpo è oggetto mediatico nella sua forma di desiderio e di martirio, amore e morte. Lusso e povertà. Nel passato, questo messaggio scorreva più lento in virtù della sua forza analogica e materica. Forse più statico nei panorami di affreschi, quadrerie e gallerie private, gruppi scultorei, intarsi, intagli, stampe, ma con un appiglio decisamente più epidermico nella società. Ecco che vorrei portare la mia esperienza di come Cuore e Vanitas siano stati fulcri presenti, e tutt’altro che discostati dal loro significato originario, nel processo di indagine del mio dottorato di ricerca in Storia dell’arte. La ricerca non prevede dunque il solo momento dell’incontro con il testo, la fonte cercata, poi studiata, appresa e rielaborata in un testo. Vi sono momenti di grande introspezione, di profonda analisi e riesame di coscienza personale e di riflesso sulla ipotetica coscienza, personalità, valori, rapporti, pensieri, convinzioni intuite dall’approccio filologico e storico con la figura artistica indagata. La storia dell’arte appaga quanto di più autentico abbia una persona: l’estetica, ossia il meccanismo di percezione della realtà, dal greco “aistànomai”. Tre anni alla “ricerca del tempo perduto” di Luigi Ademollo (1764 – 1849), artista neoclassico. Strenuo e convinto esaltatore dei corroboranti valori del mondo arcaico e stoico, da lui impiegati ad uso e consumo di una realtà storica complessa. Seppe tenere in mano il pennello durante l’arco di molti stravolgimenti politici tra la fine delle monarchie assolute, le parabole imperial napoleoniche, la calma prima della tempesta che fu la Restaurazione e il Congresso di Metternich nel 1814 – 1815, e infine le insurrezioni dei moti risorgimentali, che però non vide. Vi propongo perciò un lavoro di estrazione quasi maieutica, filosofica, nell’immaginare un possibile dialogo attuale con Luigi Ademollo. Un’impossibile ma plausibile intervista, basata sulle fonti storiche certe di un canovaccio reale e sulla relazione privilegiata che uno studioso incontra con l’oggetto dei propri studi. Laddove lo studio intenso e duraturo portano a conoscere l’artista per la via della Vanitas, le opere, la corrente artistica, i luoghi, le personalità della sua fama esteriore lo conducono lentamente ma inesorabilmente alla scoperta dell’uomo, e dunque del Cuore.
Intervistatore (I): “Luigi Adamolli, detto per lo più Ademollo, nativo di Milano, figlio d’Antonio Adamolli e di Marina Medici, nacque circa il 1765″..conferma?
Ademollo (A): Innanzitutto vorrei correggere il dato sulla nascita perchè sono nato nel 1764, ma sa, qualche errore capita nelle ultime revisioni degli scritti..
I: Ecco, signor Luigi, come mai ha voluto scrivere come li chiama Lei…i suoi “Cenni biografici”? Molti suoi colleghi hanno preferito elogi funebri in Accademia, o occasioni ufficiali e hanno pubblicato in vita le loro biografie. Lei ha preferito lasciare ai posteri le sue memorie senza pubblicarle. Può spiegarci questa scelta?
A : Non è stata una scelta ponderata, a dire il vero, ma dettata dalla difficoltà politica ed economica del momento, e che tutta la vita mi ha accompagnato. Non pochi sono stati i miei tentativi di emergere in società, tra Milano, Roma e Firenze le grandi città dei miei successi e maggiori insegnamenti. Voi oggi definite gli uomini di successo con un termine anglofono..”self made man”. Perciò le rispondo che volevo semplicemente raccontarmi, per l’uomo e l’artista che sono stato, sfogare qualche rimpianto, amarezza o congiunzione astrale sbagliata.
I: In effetti, la strada per la sua affermazione di accademico non è stata facile. Riassumo brevemente per chi non la conoscesse..ha vissuto in affido dagli zii e lavorato fin da piccolo in bottega, per poi iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Milano a Brera. Sa che l’Accademia è ancora in attività, come moltissime altre, direi quasi tutte le accademie scientifiche e artistiche italiane sorte in età moderna?
A: Sì, sono stato informato e la cosa desta in me un grandissimo piacere e somma soddisfazione. Bossi, mio collega che ne fu poi direttore sarebbe pure lietissimo. Sì, Brera è stata la mia grande occasione ma non dimentichi il mio apprendistato teatrale…come scenografo. Vede, l’arte e lo spettacolo di oggi devono tutto al Teatro scenico, e con Rodriguez è stato faticoso ma anche molto appagante. Il Cuore, ossia l’amore e passione per questo mestiere, nei giovani nasceva così, giorno per giorno al fianco di grandi maestri, di ore chini a copiare i grandi capolavori del passato, in Accademia come nelle bellissime giornate romane..e vedo che Roma è ancora il grande sogno per gli artisti vostri.
I: Sì, signor Luigi ha ragione, Roma è cambiata ma il teatro ed il cinema poi, un’invenzione che per poco lei non ha potuto conoscere..l’hanno resa ancora più amata. Voi pittori avreste amato molto i film, tanti quadri in sequenza, un ciclo di scene dipinte che si muovono una dopo l’altra. Solo che invece di essere dipinte sono vere, sono la realtà!
A: Stupefacente! Incredibile” Giammai avrei immaginato si potesse l’uomo inventare un simile macchinario di fantasia! Ai miei tempi, la pompa, il trionfo, la finzione e l’artifizio erano condotte nel teatro e qualche volta in piazza o antistanti le chiese dove abbiamo costruito grandi raffigurazioni pei’ nostri sovrani. Celebrazioni, incoronazioni, funerali, presagi di speranza, di vita, di futuro, di gloria o di morte! …Il potere rappresentato sempre a fianco del suo ineluttabile tramonto e del senso di Vanitas.
I: Quasi un concetto filosofico il suo. La so infatti permeato di cultura classica e amante della storia antica, è così?
A: Sì, l’Antico è stato il mio grande amore artistico, come per molti giovani della mia generazione, un sentimento che voi avete chiamato “Neoclassicismo”. Ma vede? Ogni epoca cerca questo confronto con il passato che con il tempo acquista “misura” di sè stesso e si fa classico, compreso, storicizzato, rielaborato. Sono sicuro che tornerà questa esigenza perché l’uomo continuerà ad esprimere arte. Come ho detto più volte in Accademia a Firenze..” s’ha da esser del proprio tempo”.
I: Veniamo ai suoi luoghi del cuore..Milano l’ha vista nascere, ma i suoi studi sono stati tra Roma e la Toscana.
A: Sì, devo molto a Milano ai signori intarsiatori Gerli, agli studi di Accademia con il professore di Ornato Giocondo Albertolli, dai quali ho appreso le basi del mio mestiere di pittore e decoratore. Roma è stata molto importante, ho avuto amicizie a cui tengo sovra ogni cosa come l’esimio scultore Antonio Canova, la cui fama ho ben visto è viva ancora tra voi! Firenze, Siena, Arezzo, sono state ognuna casa mia nel corso degli anni: Luigi Ademollo “pittore milanese” mi chiamavano, e col tempo mi hanno apprezzato e tenuto da conto. Primo fra tutti il Granduca Ferdinando III, mio mecenate. Credette subito nelle mie capacità, tanto da affidarmi vari lavori di pittura nella Reggia di Pitti. Sono ancora lì e sono commosso per questo.
I: Se le dico Vanitas, a cosa pensa?
A: Penso sicuramente alle disgrazie della vita, personali, economiche, politiche. Ce ne sono state tante come ho scritto” dalle vicende dei francesi”, dal 1789, con “scarsità delle occasioni in quei tempi travagliati”.
I: Eppure la sua grande passione, vitalità artistica e abilità è stata richiesta anche da Napoleone in persona, non ne fu lusingato?
A: L’arte come lei ben sa, è affar molto politico, e non potevo acciò tirarmi indietro. Ma in cuor mio mai ho tradito la mia fede verso il Granduca, e come ho scritto nella mia autobiografia “Luigi tirò tanto in lungo il suo lavoro che finalmente venne la sospirata tornata di Ferdinando”.
I: Leggiamo ancora dalla sua avvincente parentesi umana ed artistica come il piatto della bilancia penda verso la Vanitas quando di sè scrive:
“Luigi ha fatto un succinto del suo operare in pittura, ma non intende di entrare nelle proprie vicende, o buone, o cattive. Quello che di lui si può dire è che la vita sua si è menata nei tempi i più ripieni di guai, di rivoluzioni, di guerre…”.
..già gli si prometteva impieghi da persone distinte, ma cambiate vicende e persone, tutto sparì.”
A: Ho messo sicuramente tutto me stesso nella riuscita del mio lavoro, rimediando non sempre successi e dopo la mia morte lungo oblio e ringrazio i molti storici che vi hanno posto rimedio. Ho avuto cuore nel fare con dedizione il mio mestiere, di farmi un avvenire ma anche una famiglia, di dipingere per chiese e conventi senza esser retribuito ma solo perchè credevo nel messaggio di fede che stavo portando con le mie illustrazioni.
Ho cercato negli esempi morali dei grandi uomini greci e latini figure necessarie alla politica del mio presente.
I: Noi la ringraziamo per questo incontro, e del Cuore che ci ha mostrato, ricordando con le parole finali dei suoi Cenni biografici l’ardore del suo temperamento:
“..e così vedde egli che il cielo non gli volse dare tali riposi, traendo da questo avviso che conviene lavorare finché si regge”.
Egle Radogna
1. Gli estratti in corsivo provengono dalla autobiografia dell’artista “Cenni biografici del pittore Luigi Ademollo scritti da lui stesso” comparsa in puntate nel 1851 sulla testata fiorentina “L’arte, giornale letterario, artistico, teatrale”. Il testo fu pubblicato in versione integrale da Gian Lorenzo Mellini nel 1974 e nel 1992.