Cuore e Vanitas: intervista “immaginaria” a Luigi Ademollo
13 Aprile 2017“I due volti di Dioniso”, testo integrale della conferenza a cura di Nicola Vitale
9 Maggio 2017“Che cosa insegna che cosa annuncia Teresa d’Avila?” esordisce Giuliana Kantzà, psicoanalista e membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, nel secondo appuntamento per il ciclo di conferenze legate ai temi della mostra “Cuore e Vanitas” di Galleria Baroni; e così continua: “ I pochissimi accenni che ne fa Lacan sono stati decisivi e mi hanno aiutato ad avvicinarla: ‘Teresa del godimento’, ‘una rude scopatrice’ la chiama Lacan. E questi termini così forti mi hanno accompagnata e mi hanno consentito di potermi fermare sul suo linguaggio, che è stato definito ‘un esilio semantico’, perché Teresa scrive ed e-scrive fuori dal suo scritto. Certe sue frasi sono rimaste memorabili, come Signore dammi la grazia di sopportare il godimento che mi dai. “
Teresa e la struttura femminile secondo Lacan
“Teresa è stata per Lacan una figura di riferimento nella costruzione e nell’elaborazione della struttura femminile: Lacan affermava che le donne rispetto al godimento ne hanno di più dell’uomo, perché sono più vicine sull’asse dell’essere rispetto agli uomini, che sono più vicini all’asse dell’avere. Questa questione dell’essere pone la struttura femminile in una posizione di maggiore apertura rispetto all’amore e rispetto al godimento. Teresa viene chiamata in causa su questi due punti essenziali: amore e godimento, che per Lacan sono specificatamente femminili. Non vuol dire che sul versante maschile non vi siano, ma l’uomo rimane inchiodato al versante dall’avere che ne limita il godimento, perché rimane sul versante del prestigio dell’avere, del prestigio della posizione, del prestigio della ricchezza, del prestigio fallico: il fallo come portatore di una potenza o comunque di quelle che nella nostra società rimangono rappresentazioni di potere. In passato una donna rimaneva meno succube rispetto a questa posizione. Oggi le cose si vanno un po’ complicando, perché si pensa che una donna ponendosi nella posizione dell’essere sia meno rispetto a un uomo, mentre invece è proprio il contrario: ponendosi in questa posizione dell’essere, la posizione della donna aumenta di importanza e di valore. E soprattutto si apre alla possibilità di amare, che è la vera ricchezza che Teresa insegna.”
Linguaggio e corpo
“Il linguaggio di Teresa è scabro, essenziale, pulito, rigorosissimo e straordinario perché dice al di là di ciò che dice. Ci sono dei colloqui che lei ha fatto con San Giovanni della Croce che sono straordinari. Si racconta che dopo questi colloqui Teresa e Giovanni dovevano aggrapparsi alle sbarre dei parlatori, perché volavano via rapiti dal godimento del linguaggio del Signore. Teresa richiederebbe di parlare proprio della struttura femminile e della scrittura femminile, temi che ritengo essenziali in questo momento. La nostra vita è complicata dal fatto che noi abbiamo il linguaggio che ci costringe a domandarci, a interrogarci. Siamo stretti nel linguaggio: la prima difficoltà è il fatto di avere un corpo che non riusciamo a ridurre a linguaggio. Il nostro corpo va per conto suo, ci parla ma spesso ci parla spesso attraverso sintomi di malattia, di malessere, di disagio che noi non sappiamo tradurre. Il linguaggio del corpo è spesso in antitesi con il linguaggio della parola, che tende a ridurre la portata del corpo. Oggi abbiamo una raffigurazione del corpo ornata, vezzeggiata, una raffigurazione che è come se fosse la perdita contemporanea di questo peso e di questa bellezza del corpo. Non si è padroni del proprio corpo e anche qui Teresa insegna molto. Lei era molto bella e quando fra Giovanni della Miseria la ritrasse a Siviglia, lei viveva un periodo difficilissimo, ma pur recalcitrante, si forzò di rimanere ferma per farsi ritrarre e quando il quadro fu finito, disse ‘mi hai fatta stare ferma e poi mi hai fatto brutta e con gli occhi cisposi’. Teresa aveva una capacità straordinaria di parlare con il Signore come solo le mistiche lo sanno fare e va sottolineato che, mentre ci sono tantissime mistiche, abbiamo pochi mistici. Perché è questo versante dell’essere che permette alle donne di dire l’amore. “
Decostruzione, smarrimento, angoscia, salvezza
Con le parole dei poeti vi è il tentativo di ricercare una forza che oggi sembra perduta, perché il nostro contemporaneo è molto segnato da una decostruzione del padre. Ed è soprattutto questa decostruzione del padre che porta a uno smarrimento generalizzato. Bisogna cercare di lavorare questa difficoltà del periodo in cui viviamo, soprattutto considerando che ciascuno di noi fa parte di quello che noi stiamo vivendo. Per poter citare una speranza di salvezza bisogna che cerchiamo di ricreare un legame sociale, è l’unica possibilità di salvezza che noi abbiamo e dobbiamo cercare di ricostruirlo, cercando una soluzione nuova e alternativa. Voglio ricordare il libro di Anna Harendt “La banalità del male”, in cui la Harendt scriveva che ci saremmo trovati di fronte a un mondo in cui non ci sarebbero più stati cittadini ma umanità superflua; quell’umanità che sarebbe stata sovvenzionata dalle casse statali, ma che non avrebbe mai stabilito una vera azione con l’altro, un legame sociale e politico, che è l’unica cosa che possa farci uscire da questo mare grigio. E questo lo dobbiamo fare attraverso il linguaggio dell’arte, aprendoci anche alle incertezze. Tra gli insegnamenti più forti di Teresa c’è quello dell’angoscia e Teresa dice che per quanto abbia avuto malattie gravissime e che dal giudizio dei medici sia stata più volte in punto di morte, non ha mai provato un dolore così grande come quando ha provato gli attacchi di angoscia, che sono quando dentro di lei c’è il vuoto. Il vuoto le produce un’angoscia insopportabile, intollerabile. Lei però a noi insegna di non sfuggire al dolore e alla sofferenza. Cerchiamo di patirlo come soggetti, di attraversarlo, pensando che l’angoscia è anche il deserto, certo doloroso, ma che ci porta verso una sorgente d’acqua che ci aspetta. Però quel dolore lo dobbiamo attraversare. La passione e la morte sono indicazione di questo percorso, perché tra la passione e la morte c’è come l’atto della vita. Questi due momenti ne rappresentano l’inizio e la fine. In mezzo c’è la possibilità di vita, di amare, di godere, di potersela giocare e non di farla passare come acqua che scorre, di trovarci un senso. Perché oggi è difficilissimo: è come se le nostre pretese aumentassero ogni giorno, spostando il punto del godimento.
Giuliana Kantzà
Psicoanalista, membro A.M.E. della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi. Ha insegnato Storia della Psichiatria presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Perugia e Psicopatologia e Psicoanalisi presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Milano. Attualmente è docente all’Istituto Freudiano, Sezione di Milano. Ha pubblicato diversi testi, fra cui Althusser. Storia di un uxoricidio (1994); Passione dell’amore, passione dell’odio (1999); Il Nome-del-Padre nella psicoanalisi Freud Jung Lacan (2008); Tre donne e una domanda: Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein (2012). Vive e lavora a Milano.
Ha scritto “Teresa fra angoscia e godimento”, che così presenta: “Teresa deposita nei suoi scritti straordinari il desiderio che la anima, su cui mai non cede, anche nella strettezza dell’angoscia. Anzi è proprio attraverso questo duro percorso che arriva al nodo desiderio-amore-godimento. Figura esemplare, costituisce una traccia di lavoro per le donne del nostro tempo, un tempo in cui il coraggio è necessario.”