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Si è chiusa in questi giorni, presso la Galleria Baroni in via Madonnina 17 a Milano, la mostra “Il volto in scultura”, cui seguirà la mostra “l’Arte e il potere” sulla figura di Napoleone Bonaparte. Per tutti i dettagli e le curiosità vi rimandiamo al prossimo articolo.
Con “Il volto in scultura” il professor Sergio Baroni, esperto di antiquariato e appassionato di arte antica e moderna, ha inteso omaggiare la scultura del volto attraverso i secoli e i vari materiali utilizzati: marmo, bronzo, cera, gesso, creta.
I pochi fortunati che hanno potuto visitare la mostra – considerate le restrizioni dovute al covid –, hanno ammirato opere di autori molto importanti, fra cui Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 – Padova 1960), Domenico Rambelli (Faenza 1886 – Roma 1972), Ercole Drei (Faenza 1886 – Roma 1973) Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911 – Castel Bolognese 1988), Regina Cassolo (Mede 1894 – Milano 1974), Adolfo Wildt (Milano 1868 – Milano 1931) e altri più datati quali Pompeo Marchesi (Saltrio 1783 – Milano 1858), Claude Michel (Nancy 1738 – Parigi 1814) o Giuseppe Grandi (Valganna 1843 – Valganna 1894). Il pezzo più antico, che faceva capolino fra gli altri, è una testa romana del primo secolo dopo Cristo, raffigurante un adolescente.
Soffermiamoci su alcune opere, fra le tante che meriterebbero un’attenzione approfondita, cominciando dalla Testa di Eleonora Duse di Arrigo Minerbi, realizzata dall’artista ferrarese nel 1924 circa su commissione dell’amico Gabriele D’Annunzio. La morte improvvisa della Duse per una polmonite mentre era in tourneé negli Stati Uniti, sconvolse il poeta che intratteneva con la celeberrima attrice una burrascosa relazione amorosa da una decina d’anni. Minerbi realizzò più copie di questa testa, anche in bronzo. Quella che si trova al Vittoriale, la famosa residenza di D’Annunzio a Gardone di Riviera, fu coperta dal letterato con una rete, oggi visibile su una delle scrivanie della casa-museo, nota come “il busto velato”.
Miss Miller: sarà mai veramente esistita? Da questo busto del 1926 Domenico Rambelli non si staccò mai e divenne per lui una sorta di feticcio. Per questo lo possiamo considerare rappresentativo della sua intera produzione artistica, almeno per ciò che concerne i busti bronzei. Fin dal primo impatto visivo con questa opera balza agli occhi lo stravolgimento delle forme corporee che alterano le proporzioni dell’anatomia, dilatando e “gonfiando” i lineamenti. Artista molto vicino al fascismo, almeno in quanto a committenze, Rambelli cadde in disgrazia con la fine del regime. Fu anche ceramista e pittore, oltre che scultore. I suoi monumenti pubblici, tuttora ammirabili, appartengono al Ventennio fascista: il monumento ai caduti di Viareggio (1927), il Fante che dorme di Brisighella (1928) e il monumento dedicato a Francesco Baracca (1936), che si trova a Lugo di Romagna.
“La mia streghetta”: così amava definire Arturo Toscanini la figlia Wally, raffigurata da Ercole Drei in questo busto in terracotta degli Anni Venti. Notevole la somiglianza della giovane donna con il Maestro: il naso dritto, il volto austero. La capigliatura incornicia il viso senza alcun vezzo. Qualche anno dopo Wally, donna colta e fascinosa, cominciò ad attirare l’attenzione di molti altri artisti, fra cui l’immancabile Gabriele d’Annunzio, che però con lei non ebbe fortuna. Famoso l’aneddoto secondo il quale D’Annunzio le si avvicinò, mentre lei prendeva il sole al Lido di Venezia, nel tentativo di baciarla. Al suo diniego lui esclamò: “Non rifiuterai un bacio dall’eroe nazionale!?” Ma per Wally, l’eroe nazionale, vicino al fascismo tanto denigrato da suo padre, non meritava alcun riconoscimento.
Altro pezzo pregiato della mostra è il Ritratto di Maria Grazia Zanelli Quarantini, realizzato da Angelo Biancini nel 1938. Questo bronzo, di altissima qualità, raffigura la contessa Maria Grazia Osti Zanelli Quarantini, che nacque a Faenza nel 1925 e morì il 23 giugno del 2019 nella sua casa di Roma. Fu una delle donne più belle di Faenza e qui è ritratta all’età di 13 anni. Si tratta di una scultura abbastanza unica poiché l’arte di Biancini guarda molto alla classicità del Ventennio fascista, mentre in questo caso ci troviamo difronte ad un’opera dal sapore rinascimentale.
Proseguiamo con Regina Cassolo, sicuramente una delle scultrici più importanti del Novecento, soprattutto in quanto unica esponente femminile del Futurismo, qui presente con un’opera giovanile del 1920 circa: Testa di ragazzo. Il modello è in gesso patinato e si trova presso la Biblioteca Museo Regina a Mede, paese natale dell’artista. La testa in bronzo ritrae un giovane frontalmente, senza nessun tipo di idealizzazione. Anzi, Cassolo riporta le qualità fisiche del giovane, compresi i difetti, come le orecchie a sventola. Lo sguardo fiero fissa un punto immaginario davanti a sé: sopracciglia arcuate, la fronte aggrottata, mentre la capigliatura è solo accennata. Si tratta di una delle prime opere di Cassolo, fresca di studi, come si deduce dall’esecuzione prettamente verista, ma che risente ancora dell’Accademia.
Pompeo Marchesi è invece l’autore di un busto la cui identità è stata scoperta dal professor Sergio Baroni dopo una lunga serie di ricerche. Si tratta di Enrico Blondel (1795 – 1830), fratello di Enrichetta Blondel (1791 – 1833), moglie di Alessandro Manzoni. Fu lei a commissionare l’opera a Pompeo Marchesi per onorare la memoria del fratello appena scomparso. Il busto, realizzato nel 1831, fu esposto presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, come risulta dagli atti tuttora consultabili presso la Biblioteca di Braidense. Si tratta quindi di un busto in marmo commemorativo. Interessante anche la “dinasty” delle famiglie Manzoni e Blondel: Giulia, prima figlia di Manzoni e di Enrichetta Blondel, detta Giulietta (1808 – 1834), sposò Massimo d’Azeglio (1798 – 1866). Nel 1835 d’Azeglio sposò Luisa Maumary, a sua volta vedova di Enrico Blondel.
Anticorodal. Avete mai sentito questa parola? È il nome del composto molto resistente formato da una serie di leghe di alluminio alligate con magnesio, manganese e silicio di cui è fatta la Testa di Ulisse che Giuseppe Grandi realizzò nel 1867. Grazie a questa opera Grandi si aggiudicò il Premio Scultura per la Fondazione Canonica dell’Accademia di Brera e gli fu commissionata la statua in gesso, tuttora custodita presso la GAM di Milano, dal titolo Ulisse in atto di tendere l’arco. Una fusione in bronzo fu realizzata postuma e si trova presso Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. La testa di cui trattiamo in questa sede è resa immortale, come il mito di Ulisse, anche grazie alla resistenza dell’anticorodal.