Al pari del modello di convento ottocentesco, questa ricostruzione in scala di un’antica cucina di casa padronale è realizzata in legno laccato, con bel pavimento a scacchiera a imitazione del marmo. Risale con ogni probabilità ai primi del 19° secolo, come suggerisce l’impianto architettonico del modello, con il suo timpano tipicamente neoclassico. È un manufatto molto raro, ancora più prezioso per il fatto di fornirci un’importante testimonianza sugli usi e i costumi dell’Italia dei secoli passati, in particolare dell’Emilia-Romagna. Sono infatti riprodotti fedelmente tutti gli utensili che vi venivano adoperati, a partire dal portamattarelli che ospita cilindri di legno di vario formato per spianare e assottigliare la pasta. Sono inoltre presenti un asse per pasta, un tagliere per carne, un mortaio in vera pietra con tanto di pestello in legno; pentole in rame autentico, ferri da stiro in ferro, strofinacci di canapa e formelle per i dolci (sia a forma di stella sia di forma grande e tondeggiante per la ciambella), bottiglie in vetro soffiato a mano per il vino o per il liquore da usare nei dolci. Appesi al muro si vedono uno scolapasta, un mestolo, una ramina (mestolo forato, usato per scremare la pentola), nonché un imbuto o “pidria” per versare il vino nelle botti. Particolarmente evocativi delle abitudini domestiche dei secoli passati sono il portasale, che rivestiva grande importanza ai tempi in cui i frigoriferi non esistevano e i cibi si conservavano sottosale; la fiorentina (lampada a petrolio con tre beccucci) e i fornelli alimentati a legna, per maneggiare e rivoltare la quale sono presenti tenaglie e palette, oltre alle fascine utili per avviare il fuoco. Tra gli arredi spiccano anche la credenza con cassetto e due sportelli, nonché un’angoliera, mobile ormai sparito dalle case moderne, dove gli angoli sono stati riempiti dalle porte… Alla parete è inoltre appesa un’incisione raffigurante la Madonna di San Luca, particolarmente venerata in Emilia-Romagna perché dà il nome all’omonimo santuario che sovrasta Bologna e al quale i pellegrini giungono dopo un cammino – percorso da taluni in ginocchio – che parte dai portici del centro storico di quella città. La leggenda vuole che un pellegrino-eremita di nome Teocle portasse l’icona della Madonna dipinta dall’evangelista Luca da Costantinopoli a un monte dal quale si domina il paesaggio a 360°, esattamente come nel caso del Monte della Guardia. Un modello di questo genere riporta a una realtà non più esistente ed ha il potere di riportarci a un ambiente scomparso da lungo tempo se non nei ricordi dei nostri vecchi.
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